Prendo spunto da un articolo del Prof. Paolo Legrenzi, Docente di Psicologia Cognitiva presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia, pubblicato il 15 febbraio 2018 sulla Rubrica “I Soldi in Testa”, per analizzare alcune cattive abitudini, che mettono frequentemente a rischio i risparmi degli italiani. Legrenzi parla di azioni che impariamo un po’ alla volta e che diventano abitudini o persino automatismi, i quali, una volta codificati e fissati in memoria, sono ardui da disimparare o eliminare. Il vantaggio di aver fissato delle azioni in memoria è grande: possiamo eseguire lavori di routine pensando ad altro o compiendo contemporaneamente azioni diverse, come parlare al telefono (se in viva voce!) e guidare l’auto, riuscendo, al contempo, a decifrare la segnaletica stradale. L’evoluzione ha dotato di questa capacità anche altre specie, tra cui i ratti. Questi, imparate delle sequenze in laboratorio tramite condizionamento, le eseguono successivamente in maniera abitudinaria.
La Neuroscienza distingue tra “memoria di lavoro e “memoria a lungo termine”. È nell’archivio “di lavoro”, cioè a breve termine, che mettiamo temporaneamente le informazioni che ci servono a svolgere un compito e, se questo è ripetuto molte volte, la sua esecuzione verrebbe dirottata dalla memoria “di lavoro” a quella a “lungo termine”. Da un certo punto di vista sembrerebbe vantaggioso trasformare tante più azioni possibili in automatismi meccanici, se non fosse che, così facendo, potremmo diventare meno abili ad adattarci velocemente alle situazioni nuove ed ai cambiamenti ambientali e sociali. In certe situazioni, infatti, riusciamo a sospendere questi automatismi, come, per esempio, quando in caso di neve e ghiaccio, ci concentriamo in modo più scrupoloso alla guida dell’auto, mettendo da parte i gesti automatici. La stessa cosa accade quando impariamo a suonare uno strumento musicale. Ad esempio, quando ho imparato a strimpellare la chitarra dovevo concentrarmi su come posizionare le dita per formare degli accordi e non riuscivo contemporaneamente a leggere il testo delle canzoni. Poi tutto è diventato automatico, riuscendo contemporaneamente a leggere lo spartito, cantare o suonare l’armonica a bocca, coordinando i movimenti della mano sinistra con quelli della mano destra; in ogni caso, l’esercizio rende automatica una sequenza di azioni. Questo processo avviene molto velocemente, ma, se dopo qualche tempo vogliamo correggere degli errori di impostazione, il cervello da solo, senza la nostra mente unita alla consapevolezza, alla pazienza e alla forza di volontà, non è sufficiente, poiché non riesce a distinguere tra buone e cattive abitudini, una volta che queste siano state acquisite nella “memoria a lungo termine”. Infatti, nell’apprendere l’arte della chitarra, ho imparato a mie spese che riorganizzare i meccanismi automatici acquisiti era di gran lunga più complesso di quando, ancora neofita, dovevo imparare quasi tutto. Analogamente, non riuscire a distinguere tra buone e cattive abitudini è letale per chi utilizza il “fai-da-te” negli investimenti. In particolar modo, per il risparmio degli italiani, si è imposto il vecchio costume di mantenere un eccesso di liquidità nei conti e depositi, di utilizzare prevalentemente titoli del reddito fisso (obbligazioni e titoli di stato) e di investire negli immobili. Il rifiuto degli italiani ad investire con costanza nei mercati azionari è stato ripreso in un articolo del Sole24Ore di martedì 9, nel quale si parla, addirittura, di “tassa occulta sul risparmio”. Questa “tassa occulta”, secondo il Sole24Ore, sarebbe conseguenza di una mancata diversificazione, la quale, a sua volta, deriva dalle errate abitudini fissate nella “memoria a lungo termine” dei risparmiatori italiani. Queste cattive abitudini sono tanto più difficili da scardinare quanto più entrano a far parte di un sapere collettivo e sono rafforzate dalla condivisione e convinzione di molti individui. Secondo i dati della Banca d’Italia, a parte gli immobili, il risparmio degli italiani ammonta a 4.228 miliardi, di cui 1.329 miliardi liquidi sui conti correnti ed altri depositi a breve. Questa antica e consolidata pratica ha sfavorito la scelta dell’azionario ed ha ostacolato il cambiamento di abitudini. Infatti, alla fine del 2017 gli italiani avevano investito appena 55 miliardi in azioni quotate italiane e 69 miliardi in quelle estere: meno del 3% del totale dei risparmi mobiliari! Se sommiamo anche le azioni detenute indirettamente nei fondi comuni, il 3% diventa circa il doppio, per arrivare al 7,2% se consideriamo anche la quota azionaria dei 900 miliardi di polizze assicurative. Sommando il risparmio totale, mobiliare e immobiliare, questo 7,2% si riduce a poco più di un misero 3%, dato molto inferiore al 42% medio dei Paesi occidentali. Da queste considerazioni si può stimare approssimativamente la “tassa occulta” di cui parla il Sole24Ore. Se il 30% del risparmio immobiliare, quasi 1.500 miliardi, fosse stato dirottato all’investimento azionario, nell’ultimo decennio avremmo evitato una perdita di almeno 300 miliardi ed ottenuto, invece, un guadagno di almeno 700 miliardi. Poiché è fondamentale precisare che le persone più preparate e riflessive, o quelle che si affidano ad un consulente esperto, hanno avuto risultati superiori alla media, possiamo concludere affermando che la “tassa occulta” di oltre 1.000 miliardi, può essere meglio definita come “costo della non consulenza” o del “fai-da-te”.